Una breve citazione del libro di Aristotele Su Democrito mostrerà la differenza di
concezione tra questi due pensatori. Democrito ritiene che la materia di ciò che è
eterno consiste in piccole sostanze infinite di numero; e suppone che queste siano
contenute in altro spazio, infinito per grandezza; e chiama lo spazio coi nomi di
"vuoto" e di niente" e di "infini-to", mentre dà a ciascuna
delle sostanze il nome di "ente" e di "solido" e di
"essere". Egli reputa che le sostanze siano cosi piccole da sfuggire ai nostri
sensi; e che esse presentino ogni genere di figure[e forme] e differenze di grandezza. Da
queste sostanze, dunque, in quanto egli le considera come elementi, fa derivare e
combinarsi per aggregazione i volumi visibili e in generale percetti-bili. Esse lottano e
si muovono nel vuoto, a causa della loro diseguaglianza e delle altre differenze
ricordate, e nel muoversi s'incontrano e si legano in un collegamento tale che le obbliga
a venire in contatto reciproco e a restare contigue, ma non produce però con esse
veramente una qualsiasi natura unica: perché è certamente un assurdità il pensare che
due o più possano mai divenire uno. Del fatto che le sostanze rimangano in contatto tra
di loro per un certo tempo, egli dà la causa ai collegamenti e alle capacità di adesione
degli atomi: alcuni di questi, infatti, sono irregolari, altri uncinati, altri concavi,
altri convessi, altri differenti in innumerevoli altri modi; ed egli reputa dunque che gli
atomi si tengano attaccati gli uni agli altri e rimangano in contatto solo fino a quando,
col sopraggiungere di qualche azione esterna, una necessità più forte non li scuota
violentemente e li disperda in vane direzioni.
Ed attribuisce il nascere ed il suo contrario, il disgregarsi, non soltanto agli animali,
ma anche alle piante e ai mondi, insomma a tutti quanti gli oggetti sensibili. Se dunque
il nascere è aggregazione di atomi e il dissolversi è disgregazione, anche per Democrito
il divenire non è che modificazione di stato.
da Simplicio. In Aristotelis De caelo, 294, 33 in I Presocratici, cit. vol.11 DK fr. 68 A 37).