IL CONCILIO DI TRENTO E IL PIU’ COMPLESSIVO PROCESSO DELLA RIFORMA CATTOLICA

Con la pace di Cateau-Cambresis (1559), l’Italia passa di fatto sotto il dominio spagnolo, presentando una situazione che rimarrà a lungo statica e uniforme.Le trasformazioni che si avvertono nettamente negli ultimi decenni del Cinquecento sono da imputare anche ad un fattore storico: la Riforma Protestante(ST), destinata a dividere l’Europa e a modificarne nettamente l’assetto politico.
L’esigenza di riformare la Chiesa non era nuova e aveva già caratterizzato la storia religiosa a partire dal Medio Evo: si pensi ai "
movimenti pauperistici" (che predicavano il ritorno alla povertà evangelica) e al formarsi di sette ereticali, condannate dalla Chiesa. Anche l’Umanesimo(D) aveva espresso esigenze fortemente innovatrici, in Italia e all’estero.

Si ricordino le personalità di Erasmo da Rotterdam (SB) e di Tommaso Moro(SB), il primo si pronuncia a favore di un ritorno ai costumi evangelici e ai valori della tolleranza universale; il secondo vagheggia, attraverso l’Utopia, un radicale cambiamento di tipo politico-religioso. Assai diversa risulterà la lacerazione cui darà luogo il monaco agostiniano tedesco Lutero Martino. (SB) (1483-1546). La sua azione, che si proponeva di combattere la corruzione del clero colpì ben presto, in maniera radicale, gli stessi principi e dogmi (D) della fede, soprattutto nella misura in cui si potevano giustificare e rafforzare il potere dell’organizzazione ecclesiastica. Lutero auspica un rapporto diretto fra il credente e Dio (Sacerdozio Universale), che rende irrilevante la mediazione dell’autorità religiosa. Ma le ragioni delle Riforma non sono solo religiose e ideologico-culturali. Ad essa si accompagnano motivi di carattere politico e sociale, che esprimono anche l’esigenza di sottrarsi all’egemonia dei poteri tradizionali (rappresentati essenzialmente dall’imperatore e dal Papa), con le loro particolari strutture economiche e di governo.

Dalla riforma di Lutero prendono via altri orientamenti come il Calvinismo (fondato da Giovanni Calvino, 1509-1564).

Per trovare una soluzione ai problemi derivanti dallo scisma e appianare i contrasti e reinterrogarsi sui principi del Cristianesimo la Chiesa ritenne opportuno convocare un concilio, soprattutto sulla pressione dell’imperatore e dei cardinali erasmiani. Non essendo ancora esaurite le speranze che esso fosse la grande occasione della riunificazione, fu scelta una sede prossima ai confini del mondo germanico culla della Riforma: la città di Trento.

Al gruppo dei fautori del "dialogo" appartenevano, tra gli altri, i cardinali Reginald Pole (1500-1558), Jacopo Sadoleto (1477-1547) e Giovanni Morone.

Indetto nel novembre 1542, il Concilio ebbe inizio il 13 dicembre 1545. Fu trasferito a Bologna nel marzo 1547 e sospeso nel febbraio 1548. Riaperto a Trento nel 1551, fu interrotto nel 1552 per circa un decennio e ripreso nel gennaio del 1562. I lavori si conclusero il 14 dicembre 1563. Durante la più lunga interruzione si svolse il pontificato di Paolo IV, Gian Pietro Carafa (1555-1559, si era distinto nel 1542, ispirando il pontefice Paolo III ad istituire il Santo Uffizio (D) dell’Inquisizione generale romana, unificando l’attività inquisitoriale fino allora esercitata dai vescovi nelle singole diocesi), la cui intransigenza ed intolleranza diedero il colpo definitivo alle residue tendenze riformatrici in seno alla Chiesa e dispersero gli ultimi nuclei protestanti ancora presenti nella penisola. Furono allora sottoposti a processo anche i cardinali Pole e Morone e l’organismo ecclesiastico fu spinto ad irrigidirsi nei onfronti delle istanze che venivano dal mondo protestante e dalla cultura rinascimentale.

Le due correnti che si scontrarono nel concilio e che finirono poi per convergere furono quella che tendeva a porre in primo piano le riforme morali e disciplinari e quella che intendeva accantonare questi problemi (lasciandoli all’autorità del pontefice) per dare al concilio la funzione esclusiva di pronunciare una condanna contro le dottrine protestanti.

In definitiva, il concilio riuscì a realizzare un compromesso tra i sostenitori delle due posizioni e a raggiungere un orientamento unitario.

Respinta la teoria della giustificazione per fede, il concilio dette una nuova fisionomia alla Chiesa: ribadì la superiorità dei pontefici sui concili, riaffermò il magistero vincolante della storia secolare del papato romano e il valore assoluto della tradizione patristica e conciliare in quanto recepita e approvata da Roma. Furono confermati, secondo la tradizione, il numero dei sacramenti e la loro efficacia; l’interpretazione ufficiale delle Sacre Scritture fu riconosciuta come la sola valida, contro la teoria del libero esame.

La riorganizzazione dei vecchi ordini religiosi e la normalizzazione delle nuove congregazioni, l’obbligo della residenza per i vescovi, la riforma dei costumi del clero secolare, la costituzione dei seminari, quei decreti tridentini, cioè, che al momento della loro formulazione provocavano dispute assai meno vive di quelle che si accendevano sulla grazia, costituirono le pietre angolari su cui per i secoli successivi doveva reggersi l’edificio della Chiesa di Roma. Importante fu infine il riconoscimento che le decisioni del concilio avrebbero avuto validità soltanto dopo l’approvazione del Papa. Raccolte nella Professio fidei tridentinae, esse furono infatti approvate e pubblicate da Pio IV il 13 novembre 1564. In tal modo il concilio ribadiva solennemente il tradizionale ordinamento gerarchico della Chiesa, culminante nella indiscussa ed assoluta autorità del pontefice.

L’applicazione delle norme conciliari fu tutt’altro che agevole, non solo per la resistenza opposta dall’incrostazione di vecchi e perniciosi abusi, abitudini, passività, ma anche perché a lungo contunuarono a sussistere atteggiamenti più aperti verso le nuove istanze religiose, una volontà di discussione che il papato non intendeva più consentire. Una volta eliminate le incerteze che si erano create nel campo dogmatico, l’individuazione e la condanna degli eretici divennero più facili con i conseguenti roghi o le abiure che concludevano i più frequenti processi dell’Inquisizione. Nell’attuazione dei decreti del concilio si distinsero alcune notevoli figure come quella di San Carlo Borromeo(SB), che si prefisse specialmente il compito di rialzare il livello morale e intellettuale del clero a lui sottoposto.

La punta di diamante di questo nuovo attivismo fu la Compagnia di Gesù (D), alla quale si affiancarono altri ordini religiosi sia nati in precedenza che nuovi (visite pastorali).

La restaurazione cattolica si svolse su due piani: l’uno puramente repressivo, della Controriforma(ST); l’altro, di una Riforma Cattolica che, mostrando i principi si propopse l’obiettivo di risvegliare le energie del mondo cattolico e di impegnarle a fondo nella difesa della fede della Chiesa. La vastità stessa del piano di rinnovamento strutturale, concepito a Trento, fece si che l’opera riformatrice richiedesse un secolo e più.

Tuttavia, questa residua mobilità delle sue istutuzioni, insieme con il trionfo del principio di autorità e dell’accentramento nel governo delle cose ecclesiastiche, e con quel tanto di incertezza che era pur rimasta nelle più rigorose definizioni dogmatiche, agevolerà il cattolicesimo nell’opera di riconquista e in quella di conquista, nella sua diffusione nei paesi protestanti, e in quelle di missione, oltre gli oceani, e consentirà anche di risolvere senza nuove lacerazioni i problemi che movimenti quali il Quietismo (D) e il Giansenismo (D) porranno in seguito.

I relatori:
Elisa Celicchi, Monia Guerrini, Laura Pellegrini, Eleonora Pruscini .