PIERO DELLA FRANCESCA E LA MATEMATICA

Piero della Francesca (SB) è considerato uno tra i più grandi pittori del nostro Quattrocento, ma pochi studiosi lo hanno ricordato come uomo di scienza. I trattati scientifici di questo famoso pittore, almeno quelli che fino a noi sono pervenuti, sono ben tre opere di matematica: il "De corporibus regolaribus", il "Trattato d’abaco" e il "De prospectiva pingendi". Quest’ultimo è sicuramente il suo scritto più importante, anche se i suoi testi minori attestano comunque la sua statura scientifica e la sua fede nell’oggettiva trascendenza dei numeri.

Il "De Propspectiva Pingendi" è stato il primo vero organico trattato compilato sulla scienza prospettica del Rinascimento (D) e tanta è la sua validità che, per non breve arco di tempo sarebbe rimasto quale esempio e fonte per successivi autori di opere di prospettiva. Fu scritto verso il 1475, quando il suo autore era circa sessantenne ed aveva dato già tante prove della sua eccezionale bravura pittorica. Il manoscritto fu consegnato ai duchi di Montefeltro che lo conservarono nella loro celebre biblioteca urbinate; in seguito pervenne alla biblioteca di Parma nella quale è tuttora conservato unitamente ai chiarissimi grafici che lo illustrano: questi grafici, dopo alcuni iniziali assai semplici, chiarificano molto bene i principi generali, tanto della "Costruzione Legittima" brunelleschiana (SB) (un sistema spaziale che si vale di due proiezioni geometriche ortogonali), quanto della "Construtione Abbreviata" albertiana (SB). Articolato in tre libri, questo trattato sviluppa in senso nettamente matematico (ST) i problemi della rappresentazione prospettica offrendo esempi operativi non solo riferiti a complesse forme geometriche e architettoniche, ma a qualsivoglia forma naturale. Il primo libro, di geometria piana, ha propositi didattici dimostrati da nitidi e precisi disegni. Il secondo, di geometria solida, verte sulla rappresentazione prospettica dei solidi. Il terzo libro determina obbiettivamente l’immagine prospettica di oggetti complessi.

Negli altri due scritti minori, il "De corporibus regularibus" e il "Trattato d’abaco", il pittore approfondisce l’analisi dei corpi regolari e quasi regolari.

L’arte di Piero della Francesca si impone come una delle più conclusive espressioni della prima generazione rinascimentale. Ascendenti diretti sono il Masaccio (SB) e il Beato Angelico, di cui egli esprime le rispettive conquiste prospettiche in una nuova dialettica. La prospettiva dava una risposta all’esigenza, propria delle culture umanistiche (D), di ricondurre l’esperienza del mondo alle norme chiare della ragione umana. Nei dipinti nasceva il problema di rappresentare gli uomini e le cose su una superficie piana, aggiungendo alle due dimensioni di altezza e di larghezza, quella illusoria della profondità (il problema è risolto portando tutte le linee visibili dell’oggetto verso un punto di fuga, tramite un impianto geometrico rigoroso). Proprio con il "De Prospectiva Pingendi" la prospettiva avrà una formulazione più analitica e costantemente fondata su basi geometriche euclidee, specialmente nel ‘400 fiorentino.

Con la prospettiva dei Quadri di Piero della Francesca, i nuovi criteri di rappresentazione del reale sostituiscono le statiche immagini della pittura duecentesca e ricercano nella geometria delle forme e dei rapporti prospettici una modo al tempo stesso classico (D) e moderno, il rapporto con le cose. Le astratte e metafisiche figure di Piero della Francesca dimostrano che la prospettiva non è necessaria soltanto a quelle culture che, tendendo al realismo, affidano all’immagine il compito di riprodurre la realtà.

Le opere artistiche del pittore di Borgo Sansepolcro evidenziano la tendenza dell’uomo del Quattrocento a indagare, a studiare la realtà in cui vive, che lo porta a definire le leggi della prospettiva, a considerare le immagini nel loro volume, nelle loro proporzioni, ecc.

Concludendo, possiamo ritenere Piero della Francesca, oltre che pittore eccellentissimo, anche un matematico di notevole validità e, ancora meglio, dotato di "forma mentis" di tipo scientifico; tuttavia quella eccezionale cultura matematica non fu mai di disturbo nella realizzazione artistica giacché se ne avvaleva fin tanto che gli era utile ed era pronto a lasciarla quando stava per mutarsi in una presenza gravosa.

Il relatore:
Marco Cascianini