Le condizioni dei prigionieri ad Auschwitz

La quarantena

I nuovi arrivati venivano sottoposti ad un periodo di isolamento per prevenire, almeno in teoria, la diffusione nel campo di malattie infettive. Erano adibiti allo scopo, a seconda del bisogno, uno o più blocchi o baracche e persino tende per centinaia di persone. La quarantena era per i detenuti un'esperienza scioccante, essa coincideva, di solito con il periodo in cui apprendevano le norme che regolavano la vita dei lager nazisti, in cui l'SS responsabile del blocco esercitava un potere illimitato, aiutato dai detenuti incaricati, l'anziano del blocco e delle camerate. La rigorosa osservanza dell'ordine del giorno, il brutale risveglio al mattino, ore e ore di esercizi sportivi, l'allineamento sul piazzale dell'appello, l'insegnamento di canzoni e della corretta pronuncia di alcune espressioni tedesche, erano le occupazioni che scandivano le giornate dei segregati. Le pietose condizioni dei locali, il sovraffollamento, la sporcizia, la pressocchè inesistente igiene personale e il terrore regnante influenzavano negativamente la psiche dei prigionieri, in particolare di quelli che trascorrevano la quarantena a Birkenau, dove si trovavano le istallazioni dello sterminio di massa.
Anche chi veniva rilasciato doveva, prima di uscire dal campo, sottoporsi ad un periodo di quarantena. Ciò riguardava soprattutto i prigionieri da "educare", essendo ben rari i casi di rilascio fra le altre categorie. Seguivano poi visite di controllo durante le quali ai medici delle SS bastava riscontrare difficoltà motorie, stati ulcerosi, gonfiori, o il sospetto di malattie contagiose, per rifiutare il permesso di rilasciare il lager. Se non sopravveniva un miglioramento, la detenzione veniva prorogata e molti prigionieri non videro mai il giorno della liberazione.

Le condizioni abitative e igenico sanitarie

Una delle cause delle epidemie e delle malattie infettive imperversanti ad Auschwitz erano le proibitive condizioni abitative, diverse a seconda del periodo e differenti in ognuna delle tre parti del complesso concentrazionario. Nel campo base nel 1940 furono destinati a locali abitativi per i prigionieri 20 edifici dell'ex caserma, di cui 6 a un piano e il resto con il solo pian terreno. Le dimensioni dei fabbricati (m. 43,38 X 17,75) e la mancanza di servizi sanitari non li rendevano adatti ad ospitare le centinaia di prigionieri che invece venivano stipati in ognuno di essi. I lavori di ingrandimento, che durarono fino alla primavera del 1943, provocavano poi il trasferimento dei prigionieri in altri blocchi, provocando un ulteriore peggioramento delle condizioni abitative in tutto il campo.
Nei primi 15 mesi circa i prigionieri dormivano gli uni accanto agki altri su pagliericci che al mattino, dopo la sveglia, andavano raccolti e sistemati in un angolo della camerata.questa operazione, ripetuta ogni giorno, faceva sbriciolare rapidamente la paglia e provocava vere e proprie nubi di polvere. In camerate larghe 5 metri i detenuti giacevano su tre file di pagliericci, costretti dai prigionieri incaricati dalla sorveglianza a dormire tutti su di un fianco e pigiati fino all'inverosimile per far posto a quanti non ne avevano. Non c'è nemmeno bisogno di dire che in tali condizioni uscire di notte per soddisfare i propri bisogni fisiologici equivaleva alla perdita del posto per dormire. I primi letti di legno a 3 piani furono forniti alla fine del febbraio del 1941 e vennero gradualmente installati nei blocchi nei mesi successivi. Ogni letto era provvisto di 3 giacigli, pertanto era tecnicamente destinato a raccogliere 3 prigionieri, ma in pratica su ogni giaciglio dormivano 2 o più persone. A causa del sovraffollamento furono temporaneamente installate delle baracche di legno tipo stalla e vennero utilizzate ahche le soffitte e le cantine. La cubatura complessiva dei locali dormitorio nei blocchi in muratura era di circa 2900 metri quadrati, diviso per 1200 persone che in media ospitavano il doppio delle persone e dove vi era circa 2,5 metri quadrati di aria per detenuto. I blocchi furono gradualmente muniti di stufe a carbone, una quindicina di armadi, alcuni tavoli di legno e alcune decine di rudimentali sgabelli. Ogni blocco a un piano del campo base era amministrativamente diviso in 2 parti:il pianterreno e il primo piano. Nella maggior parte dei casi il primo piano aveva solo due grandi sale, mentre il pianterreno era di regola diviso, in camerate più piccole. Comuni erano i locali sanitari, che si trovavano di solito al pianterreno. Va sottolineato che tutte queste attrezzature vennero montate nei blocchi solo dopo l'apertura del campo;durante l'estate e l'autunno del 1940 per alcune migliaia di prigionieri funzionavano solo due pozzi che fornivano acqua per lavarsi, mentre per soddisfare i bisogni fisiologici bisognava recarsi a delle latrine provvisorie all'aperto. Anche dopo la costruzione dei gabinetti il loro uso era limitato dai diversi divieti dei detenuti incaricati. Le altre baracche erano vere e proprie stalle di legno montate con elementi prefabbricati; invece delle finestre avevano una fila di fori sulla parete superiore di ambo i lati, le pareti erano fatte di sottili assi mal accordate tra loro e il tetto, che faceva anche da soffitto, consisteva in una serie di assi ricoperte da uno strato di bitume, poggiate sulle pareti esterne e su 2 file di pali che dividevano la baracca nella sua larghezza in 3 parti. Nella parete laterale si trovava l'entrata con porte a doppie ante; 18 tramezzi dividevano l'interno in altrettanti compartimenti, veri e propri box progettati per ospitare 52 cavalli. Nelle baracche in muratura i giacigli dei prigionieri erano coperti da sottili pagliericci; in quelle di legno, invece, sui letti o sulle brande vi erano giacigli di carta imbottiti di trucioli. L'umidità, l'acqua sgocciolante dai tetti, i pagliericci imbrattati di feci, peggioravano ancora di più le già terribili condizioni abitative, tanto più che di notte era vietato aprire le porte per far cambiare l'aria. I vermi imperversavano e i ratti attaccavano morti e vivi. A ciò va aggiunta la perenne mancanza di acqua per lavarsi ed i servizi igienici adeguati.

Il vestiario

All'atto della registrazione i deportati ricevevano speciali abiti di traliccio a strisce azzurro-grigio che, essendo visibili anche da lontano, ostacolavano seriamente eventuali tentativi di fuga. Gli uomini ricevevano una camicia, mutandoni, una blusa e dei pantaloni. La versione estiva e quella invernale del vestiario, comunque di traliccio, si differenziava solo per lo spessore del materiale. In inverno venivano distribuiti dei "cappotti" a righe di materiale più pesante, ma senza imbottitura. Per quanto riguarda le scarpe, i prigionieri ricevevano zoccoli di legno di tipo olandese, o scarpe con suola di legno. Le uniformi, sporche e piene di pidocchi, quasi mai della misura giusta, si indurivano a contatto con la pioggia e gli zoccoli, che certo non agevolavano il movimento, costituivano un'ulteriore sofferenza per i detenuti. A causa della difficoltà nel rifornire Auschwitz della quantità necessaria di capi di vestiario e di calzature, durante il freddissimo e nevoso autunno del 1940 ai prigionieri non vennero distribuiti gli zoccoli e furono costretti a camminare, lavorare e stare in piedi scalzi, persino durante i lunghi appelli. Molti si ammalarono, facendo aumentare il tasso di mortalità;i detenuti, per difendersi dal rigore degli inverni dell'epoca, rinforzavano la blusa"invernale"con pezzi di carta ricavati dai sacchi di cemento vuoti, nonostante ciò fosse severamente vietato.
Il sovraffollamento nelle singole baracche, la mancanza di servizi sanitari, i continui disturbi che affliggevano i prigionieri, quali la diarrea provocata dalla fame e l'assenza di una qualsiasi forma di igiene personale, facevano si che di solito i loro vestiti fossero laceri, sporchi, pieni di pidocchi, spesso impregnati di escrementi e impregnati di urina, maleodoranti e nauseanti. La pulizia dei vestiti veniva permessa solo ai prigionieri che per motivi di lavoro erano in contatto diretto con i militi delle SS, che avevano un terrore-panico dei pidocchi.poiché ad Auschwitz non vi era inizialmente una lavanderia meccanica e quella attivata in seguito non bastava, la biancheria e le uniformi venivano mandati a Bielsko. L'insufficienza e l'inefficienza delle lavanderie, unite alla mancanza di attrezzature per la disinfezione, faceva si che la biancheria non venisse cambiata per settimane, a volte mesi. Le mezze misure adottate si ritorcevano contro i detenuti, come avveniva con le famigerate ezioni di spidocchiamento durante le quali i prigionieri e le prigioniere dovevano restare nudi tutto il giorno davanti alle baracche mentre venivano disinfestate e la biancheria e i vestiti immersi in tinozze con soluzioni di zyklon. È facile immaginare le conseguenze di tali operazioni su prigionieri stremati e malati, in particolare se avevano luogo in giornate piovose. Se durante il lavoro o l'appello pioveva i detenuti si coricavano con i vestiti bagnati, che asciugavano con il calore del proprio corpo dormendo. La mancanza di acqua (persino da bere) escludeva la possibilità di lavarsi da soli la propria biancheria. Un problema a parte era quello delle scarpe, in particolare per quei detenuti che dovevano percorrere lunghe distanze nel corso della giornata. Durante la marcia gli zoccoli, troppo grandi o troppo piccoli, scorticavano i piedi, in presenza di avitaminosi e di debilitazione dell'organismo, provocavano ferite purulenti difficili da rimarginare che causarono indirettamente la morte di migliaia di persone. Durante le selezioni, le ferite agli arti inferiori venivano spesso prese a pretesto dei medici delle SS per qualificare il prigioniero inabile al lavoro, inutile, per cui esso veniva ucciso con iniezioni intracardiache di fenolo o gassato.

Il vitto

I detenuti ricevevano 3 pasti al giorno (mattino, pomeriggio, sera), il cui valore nutritivo dipendeva da molti fattori, in particolare dalla relativa normativa vigente nei lager nazisti, modificata varie volte. In base a queste norme veniva stabilito il vitto giornaliero e settimanale, con specificati gli ingredienti e i prodotti necessari alla preparazione dei pasti e il loro valore calorico. Questo in teoria. La realtà era completamente diversa. I depositi dei generi alimentari e le cucine dipendevano dal personale delle SS le quali, come risulta dalle relazioni e dalle testimonianze degli ex prigionieri, prelevavano dai magazzini i prodotti e gli alimenti migliori (carne, margarina, zucchero, farina, salsicce). Per tanto già la preparazione dei pasti avveniva con una quantità di prodotti minore di quella prevista. Un altro problema era poi la distribuzione dei pasti e degli alimenti; la normativa del lager prevedeva che se ne occupassero "incaricati", delinquenti comuni tedeschi senza scrupoli che portavano via dalle cucine i pentoloni con la zuppa, il "caffè", il "tè", ed altri alimenti, per poi distribuirli tra i prigionieri, non prima di averne prelevato per sé una buona parte. Così, invece, delle regolamentari 1700- 2150 calorie i detenuti ricevevano pasti che oscillavano tra le 1300 e le 1700 calorie. Dalle relazioni di ex prigionieri e dalle liste delle rancio conservatisi, apprendiamo che a pranzo era prevista quattro volte a settimana una zuppa "di carne" e"di verdure", dove per verdura si intendeva patate e rape, con l'aggiunta di orzo perlato, semola di miglio, farina di segala, e "awo", cioè estratti alimentari. Dopo il 1942 per cucinare le zuppe vennero impiegati i prodotti che si trovavano nei bagagli degli Ebrei gassati. La zuppa di circa tre quarti di litro aveva un valore di 350-400 calorie; poco appetitosa e acquosa, era consumata con ripugnanza dei nuovi arrivati, non ancora stremati dalla fame. A cena si distribuiva ai prigionieri circa 200 grammi di pane con l'aggiunta di circa 25 grammi di salsiccia o di margarina o ancora un cucchiaio di marmellata o formaggio, spesso ammuffiti o stantii, per un valore complessivo di 900- 1000 calorie. La porzione di pane era doppia, comprendendo anche quella del mattino, ma erano ben pochi coloro che, vincendo i morsi della fame, riuscivano a conservarne la metà per l'indomani. Le norme vigenti per i detenuti impiegati in lavori più pesanti prevedevano porzioni maggiori, che comunque venivano regolarmente diminuite durante la distribuzione. Con queste razioni da fame, dopo alcune settimane la maggioranza degli internati cominciava ad accusare sintomi di debilitazione, fino a ridursi a scheletri buoni, ormai, solo per la selezione. Migliaia di prigionieri macilenti e scheletriti tentavano disperatamente alla minima occasione di conquistare qualcosa da mangiare, rovistando persino nei rifiuti delle cucine. Ma bucce crude, rape e patate ammuffite, lungi dal sedare la fame, provocavano la diarrea.

L'organizzazione della giornata

Il prigioniero apprendeva molto spesso tragicamente sulla propria pelle la disciplina, le punizioni e il regolamento vigenti nei lager. Spesso i consigli dispensati da conoscenti, amici o sconosciuti, permettevano al nuovo arrivato di conoscere più rapidamente le condizioni di vita e di risparmiarsi spiacevoli esperienze. Nel campo tutto avveniva sulla base di un ordine o di un opportuno segnale e gli internati che non li capivano (perché impartiti in tedesco) o non li eseguivano prontamente rischiavano di essere percossi dai militi delle SS e dai detenuti "incaricati". Alle 4 del mattino suonava il gong della sveglia e i detenuti, con imprecazioni e percosse venivano costretti a lasciare al più presto i giacigli. I letti a tre piani andavano fatti secondo l'uso militare e ogni minima imprecisione costava cara al "colpevole". Ben poco era il tempo previsto per soddisfare i bisogni fisiologici, "lavarsi e fare colazione": nei blocchi con centinaia di persone tutto avveniva freneticamente, molti non riuscivano nemmeno a toccare l'acqua e per i ritardatari spesso veniva a mancare il caffè. La durata degli appelli, con i prigionieri allineati in file di 10 per facilitare la conta ai militi SS, dipendeva dalla rapidità con cui si constatava la presenza di tutti. Seguiva l'ordine di formare squadre di lavoro che si portavano in un punto stabilito del lager, da cui partivano verso la propria destinazione, accompagnati dal suono delle orchestre organizzate in tutti e tre i campi del complesso di Auschwitz. La giornata lavorativa era di 11 ore con mezz'ora di pausa per il pranzo; inoltre a causa della lontananza del luogo di lavoro, una parte dei detenuti percorreva a piedi fino a una quindicina di km al giorno. Nella prima fase il lavoro doveva spesso essere eseguito di corsa. Le guardie SS e i sorveglianti urlavano e percuotevano senza sosta i prigionieri terrorizzati. Alcune sentinelle, per ottenere un maggior numero di ferie, ordinavano ai detenuti di allontanarsi dal terreno sorvegliato e poi li uccidevano a colpi di pistola; nel rapporto ai superiori sostenevano di averli uccisi mentre tentavano la fuga e se solo erano in grado di dimostrare il loro "responsabile comportamento" ricevevano lodi o alcuni giorni di licenza. Non stupisce peraltro che durante il lavoro perissero molti prigionieri, le cui spoglie dovevano essere riportate al campo dai compagni di sventura. La sera, sfiniti dal lavoro e dalle molte angherie, nel varcare al ritorno la soglia del portone d'ingresso li aspettava un ultimo sforzo: procedere in file ordinate al ritmo di marcia scandito dall'orchestra per facilitare la conta alle SS. Sempre all'ingresso venivano perquisiti, e chi veniva trovato in possesso di qualsiasi cosa, fosse anche un pezzetto di rapa, era punito per "sabotaggio" e trasgressione al regolamento. Avevano poi luogo l'appello e il pasto serale finché, intorno alle ore 21, entrava in vigore il silenzio notturno, durante il quale era vietato lasciare i blocchi. I trasgressori cadevano sotto i colpi delle SS di guardia sulle torrette, i cui echi squarciavano il silenzio della notte se un prigioniero, allo stremo della resistenza psichica, decideva di "andare sul filo", di porre fine alla propria vita gettandosi contro la recinzione del lager. Le sentinelle, che avevano l'obbligo di fermare chi si avvicinava al recinto, il più sovente lo facevano semplicemente sparandogli.tra le cose più odiate dai prigionieri, oltre al lavoro forzato e alle vessazioni, vi erano gli appelli che, in caso di evasione, potevano durare anche più di 10 ore. Nel 1941 durante gli appelli, soprattutto serali, per ogni evasione avvenuta, venivano per rappresaglia condannati a morte per denutrizione 10 o più detenuti scelti tra quelli del blocco dei fuggiaschi. Particolarmente pesanti erano gli appelli generali durante i quali, oltre al controllo dei numeri di matricola, venivano selezionate le persone malate e inabili al lavoro, poi liquidate nelle camere a gas.
Nel regime di terrore instaurato dalle SS un ruolo particolare aveva l' articolato sistema punitivo. Tra le punizioni più frequenti vi erano: il divieto di spedire e ricevere lettere, gli addestramenti forzati, il lavoro durante il tempo libero, la privazioni del "pranzo" nei giorni di lavoro, la fustigazione, anche pubblica, durante la quale il prigioniero doveva contare in tedesco il numero delle frustate; la punizione del "palo" (al quale il malcapitato veniva appeso con le mani legate dietro alle spalle), l'invio alla compagnia penale, la detenzione nella prigione del campo. Le pene, che non solo provocavano sofferenze fisiche e umiliazioni psichiche, ma in molti casi affrettavano o determinavano la morte, erano di 2 tipi: quelle inflitte in qualche modo formalmente, di cui, cioè, restava traccia nella richiesta di punizione e in un apposito modulo che ne confermava l'esecuzione, e quelle decise autonomamente dai singoli SS - mann, di cui non restava alcuna documentazione, ma solo le tracce sul corpo della vittima.

Fonti:
Auschwitz, il campo nazista della morte, Edizioni del Museo Statale di Auschwitz- Birkenau 2001, traduzione di Salvatore Esposito

Mearini Valentina