Jacopo tra ideale e realtà

 

Nel romanzo di Foscolo non esiste la figura del padre naturale di Jacopo Ortis, ricordato solo due volte, una dal protagonista e una da sua madre, e ormai defunto all’epoca della narrazione, ma l’unico personaggio maschile che riveste il ruolo paterno è il signor T***, padre di Teresa, la bella e dolce fanciulla amata da Jacopo. è un “uomo di colto ingegno e di somma onestà”, autoritario, interessato principalmente alla continuità della ricchezza di famiglia. “Chi nasce patrizio, muore patrizio”: ecco la sentenza che meglio spiega la sua decisione di far sposare la figlia con Odoardo, giovane ricco e nobile, ma, come scrive Jacopo, la cui “faccia non dice nulla”.
Il signor T*** stima Jacopo e lo ama come un figlio ma, spinto da contingenti necessità dettate in particolare dalla situazione storica contemporanea, preferisce salvare la fortuna di famiglia, come riporta Lorenzo: “ma Odoardo era ricco, e di una famiglia sotto la cui parentela il signor T*** fuggiva alle persecuzioni e alle insidie de’ suoi nemici, i quali lo accusavano d’aver desiderato la verace libertà del suo paese; delitto capitale in Italia. Bensì imparentandosi all’Ortis avrebbe accelerato la rovina di lui, e della sua famiglia”.
Due generazioni, due pensieri si scontrano in un aspro duello: da una parte il signor T*** rappresenta un’epoca conservatrice, statica, fedele ad uno schema aristocratico, dall’altro Jacopo e Teresa rispecchiano un nuovo modo di vivere, di sentire, di pensare, più libero, sciolto da regole, improntato sui sentimenti e sulla volontà del singolo.
Dietro le semplici conseguenze narrative dell’opposizione del signor T*** al matrimonio della figlia con Jacopo si cela, perciò, il problema di tutta un’epoca storica, vissuta sotto gli influssi di rinnovamento della Rivoluzione Francese. Il signor T*** rappresenta, allora, quella casta sociale di sovrani, aristocratici e clero che avevano sorretto l’ “ancien regime” e ora prendono posizioni di autodifesa nei confronti delle nascenti idee rivoluzionarie, timorosi degli sviluppi del periodo del terrore (il comportamento autoritario del signor T*** ne è sintomo. Teresa: “tanto più che egli considera l’opposizione – al matrimonio – di sua moglie come una lesione alla propria autorità e questo sentimento tirannesco lo rende ancor più inflessibile”). Questo atteggiamento provoca la fine della collaborazione fra intellettuali e sovrani illuminati. Tale rottura non è estranea agli stessi intellettuali, rappresentati da Jacopo che, al contrario, la sentono e la nutrono profondamente, influenzati in particolare dalle idee giacobine francesi. Gli intellettuali si convincono di poter produrre un rapido mutamento della società, di creare una nuova generazione. Da qui il loro forte coinvolgimento politico: essi non si sentono più collaboratori di un potere già esistente, ma si pongono come figure autonome e indispensabili al governo. Nell’Ortis l’esigenza di rigenerazione, di polemica contro un potere sordo ai nuovi echi di rinnovamento emerge nel mito della giovinezza, quindi non più intesa in senso classicista, e nella figura dell’esule e dell’intellettuale d’opposizione che si scontra, incompreso, con la società intera.
La giovinezza e la bellezza sono presenti in Teresa, dipinta come creatura celestiale, l’unica che possa placare le sofferenze di Jacopo, ma proprio perché perfetta è irraggiungibile. Questo aspetto esalta e sottolinea, inoltre, la figura dell’esule in contrasto con la società.
Le ragioni per le quali il signor T*** ostacola il matrimonio, invece, sono indice dell’incomunicabilità fra aristocrazia e nuovi intellettuali.
Nello sviluppo narrativo la decisione di un matrimonio di interesse, in aggiunta, diventa allora seme di innumerevoli discordie. Rovina l’unione di una felice famiglia e priva Teresa di un sostegno sicuro, morale ed affettivo, allontanando sua madre che invano si era opposta al matrimonio della figlia e aveva difeso la sua felicità (Teresa: < la madre > “s’è allontanata da tutti per non aver parte alla mia necessaria infelicità. Io sono abbandonata da tutti!”); segna, soprattutto, l’inizio del dramma amoroso di Jacopo e Teresa, delineando un futuro fatale per il primo e uno silenziosamente amaro per la seconda.
E’ il loro un amore puro e sincero per entrambi, però vissuto in modo profondamente diverso. Per Jacopo è come vivere il sogno, poiché abbandonato alla visione celestiale della sua dea (Jacopo: < il cuore > “né spera, né desidera che Teresa: e ti vedo < Dio > in lei sola. [ … ] dovrò dunque io anteporre Teresa a Dio? - Ah da lei si spande beltà celeste ed immensa, beltà onnipotente”), ogni preoccupazione della sua condizione di esule si perde nel dolce mare di tale sentimento irrazionale (Jacopo: “oh ! Mi sono sentito un po’ libero”). Per Teresa, più saldamente legata alla realtà e tacitamente sottomessa al volere del padre, si presenta subito come un tormento: sente di amare Jacopo ma non lo vuole ammettere, non vuole cedere per non soffrire di più, conoscendo già il suo destino infelice (Teresa: “non sono felice”).
Ma l’amore fra i due è troppo forte ed è inevitabile arrivare a dimostrarselo. Il bacio che i due giovani si scambiano da segno di amore si muta nel simbolo dell’inizio della loro infelicità. E così entrambi cambiano e portano esteriormente i segni delle loro ferite interne. Teresa diviene solitaria, appartata, non parla mai e legge sempre, sfugge la presenza del padre e delle amiche, trascura ogni diletto e piange molto e aspramente. Jacopo diventa più aggressivo, “tetro ed infermo” e inizialmente tralascia ogni tipo di rapporto umano, anche il dialogo epistolare con la famiglia e Lorenzo, che riprende successivamente in modo non troppo ordinato e costante, fino a che, dopo la notizia del matrimonio di Teresa, sconfitto dal dolore per la sua vita di infelice e di esule sceglie di porre fine alle sofferenze con la morte.

Relatrice: Eleonora Blasi.